Cento anni fa nasceva Bruno Visentini
Il grande cambiamento dottrina della storia

di Riccardo Bruno

Il dovere di ricordare la personalità di Bruno Visentini a cento anni dalle nascita, impone un tuffo a capofitto in quello che Stefan Zweig chiamava “il mondo di ieri”. Visentini nasceva all’inizio della Grande Guerra, e compiva solo 4 anni quando gli esiti del conflitto avevano cambiato completamente lo scenario continentale. Erede di una famiglia della borghesia post napoleonica, che aveva vissuto e assimilato il travaglio della fine dell’epopea rivoluzionaria europea e poi anche il dissolversi del governo asburgico, Visentini vedeva i grandi cambiamenti come un elemento da assumere con il latte materno. Difficile immaginare una personalità più incline di quella di Bruno Visentini alla trasformazione sociale ed economica come dottrina della storia. La sua stessa esperienza antifascista giovanile, condotta nelle file del partito d’Azione, ne è il paradigma. Visentini aveva visto scomparire tutti gli equilibri geopolitici consolidati dalla restaurazione in un battibaleno. Mai avrebbe scommesso un nichelino sulle possibilità del successo del fascismo europeo, stretto da una parte da un totalitarismo altrettanto feroce e dall’altra dal dinamismo impetuoso della società americana. Per lui il fascismo era senza speranza persino quando si trovava chiuso in un carcere per attività clandestina. Il partito d’Azione gli appariva invece carico di una dose di avvenirismo, fuori dai vecchi schemi ideologici dell’800, l’unica formazione in cui si trovava a suo agio, perché il Pri, gli sarà poi piuttosto stretto.
Complessivamente estraneo alla tradizione mazziniana, Visentini portò nel partito repubblicano, come nel Paese del resto, una ventata di modernismo specialistico, persino difficile da digerire. Luciana Castellina, ad esempio, usava dirgli che piuttosto che ai tecnici era meglio rivolgersi agli stregoni. Visentini non amava in senso stretto la politica ed i suoi protagonisti, antelitteram, egli era il campione dell’imprenditore di successo, presidente Olivetti, vicepresidente di Confindustria, competente nei minimi dettagli di tutte le cose di cui si occupa, altrimenti preferiva non occuparsene affatto. L’idea di trasformazione sociale ed economica del Paese è la sua stella polare,
tanto che quando Ugo La Malfa lo avrebbe voluto ministro del tripartito - Dc, Pri, Psdi -, nel 1979, Visentini si defila. Il professore, come amava farsi chiamare, comprende che bisogna investire su nuovi astri nascenti, e scrostare una volta per tutte quella vecchia politica italiana costruita sull’equilibrio democristiano. Visentini farà il suo ingresso nel governo Craxi, ovvero nel più stabile governo della repubblica italiana dal dopoguerra ad allora. E non c’è dubbio che per Visentini fosse proprio Craxi a raccogliere le principali speranze di innovazione del paese, essendo il leader socialista capace di mettere in crisi il sistema di potere democristiano, e soprattutto di spingere nell’angolo il vetusto e obsoleto partito comunista. Quando Visentini si lamentava che il Paese non si era sufficiente modernizzato perché gli si è impedito di continuare la sua opera di ministro delle Finanze, sosteneva che al contempo si era posto un freno all’opera avviata dal governo Craxi. Si comprende così meglio la sua avversione alla leadership di De Mita, la risposta democristiana al carisma craxiano.
Dal 1987 al 1989, Visentini presidente del Pri mal sopporta la politica della segreteria nazionale filo demitiana e con la fine del governo De Mita, il professore si sente tolto un peso dallo stomaco, tanto da pensare addirittura alla necessità di “rifondare” il partito repubblicano, proposta che lanciata in un consiglio nazionale rimase completamente isolata. Duttile e pragmatico, Visentini, ingoiò il rospo convinto di vedere meglio e più lontano. Davanti alla crisi del governo Andreotti, nella svolta imprevista che trascinò il Pri all’opposizione, Visentini si guardò bene dal mettersi di traverso. E’ possibile che ritenesse oramai affievolita rapidamente anche la stella di Craxi e che il partito non dovesse perdere l'occasione di una nuova rigenerazione nazionale. Le cose si complicarono non poco con l’esplosione di tangentopoli, davanti alla quale ovviamente Visintini per nessuna ragione avrebbe mai potuto essere coinvolto. La sua condotta fu assolutamente irreprensibile ed al di sopra di ogni sospetto. Tanto che egli fu solidale con Giorgio La Malfa, convinto che La Malfa si fosse esposto lui in prima persona per salvare l’onore di tutti i repubblicani. Il Pri in Tangentopoli fu l’unico partito che non vide indagato il suo amministratore, un galantuomo come Giuseppe Ruspantini, che Visentini aveva proposto e sostenuto in quella carica e di cui era personalmente amico. Anche di questo Visentini fu grato a Giorgio, tanto che lo propose come segretario del partito dopo le sue dimissioni per affrontare la gestione delicatissima del passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario. Visentini era riconoscente a Giorgio La Malfa, ma anche convinto che La Malfa non fosse più nelle condizioni di dettare un’agenda politica senza prima avergliela sottoposta. E questo fu forse il primo errore del professore. Ne commise poi uno più grave. Convinto com’era della necessità del successo ogni volta che si intraprendeva un percorso politico, si ritrovò impigliato all’interno di una coalizione progressista, che perse sonoramente. Eppure in quel 1994 Visentini confidava che il corso della storia potesse nuovamente riannodarsi, e come al tempo del fronte repubblicano costituitosi nella guerra di Spagna, prepararsi ad un estremo rinnovamento. L’ eterno ritorno delle cose che lui poteva guardare dall’alto, sembra il segreto profondo della sua esistenza.

Roma, 1 agosto 2014